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martedì 10 dicembre 2019

Attualità del “Sommo Poeta” nel nuovo millennio.




Vi sono uomini o donne, la cui opera, lavoro  o idee andrebbero vietate ai minori di 18 anni. Di questi alcuni  lo sono già, come i tanti attori o attrici di certi film, che hanno per oggetto violenza spesso gratuita o che trattano di non richiesta anatomia scientifica. Altri vengono censurati su facebook,  in quanto   portatori di idee antiumane, tipo quelle razziste,  o pseudoscientifiche alla Lombroso. Tra tutti, quello che ritengo debba essere vietato ai minori addirittura di 35 anni, è il sommo poeta Dante Alighieri. Confesso che da liceale trovavo i suoi canti inutili e frutto di alterazioni cerebrali naturali o artificiali. Solo molti anni più tardi, quando il flusso dell’esperienza della vita mi ha messo di fronte alla vasta gamma di problemi, virtù, scelte, e molto altro, mi sono ricordato dei canti del sommo e rileggendoli, quasi come un’appercezione immediata, come universi paralleli, rivedevo il senso profondo, immenso, impareggiabile e unico di quell’opera aurea. Aggiungo che non sempre per  i maggiorenni di 35 anni, i quali non abbiano almeno in parte percorso nella loro strada della vita la selva che va fino al centro della Terra, l’opera Dantesca possa  rivelarsi. Resta una vetta troppo alta per essere ambita. Proprio per omaggiare in modo personale e sentito il sommo  poeta, dedicherò alcune mie riflessioni sulla costante attualità della sua opera maior  per  critica, insegnamento e  modello. In particolare ad alcuni canti a me cari. Uno di questi è il canto XI dell’Inferno.
Il canto si apre con Dante e Virgilio che sono arrivati ai margini del 7° cerchio. I due poeti per difendersi  dal fetore esalato dalla valle si  fermano dietro la tomba di Papa Atanasio II(496_498),“ci racostammo in dietro, ad un coperchio d’un grand’ avello,ov’io vidi una scritta che dice ‘Anastasio papa guardo, lo quale trasse Fotin de la via dritta’”. Infatti questo papa prese parte ai costanti confronti  e lotte che esistevano nei primi secoli dell’era cristiana, tra chiesa d’oriente, con le sue numerose forme interpretative, e chiesa d’occidente, meno intaccata da questi scismi ed eresie. In questo canto Dante descrive l’ordinamento morale dell’inferno. Atanasio o Anastasio come lo chiama Dante è il simbolo dell’ingiuria (dal latino iniuria   cioè infrazione della legge ). Attenzione per Dante l’ingiuria non è iniquità, ma illegittimità segnata dalla violenza e dal sopruso.

«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que' che lassi.
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti.”
E cioè:“Figliolo mio, dentro queste rocce,”
cominciò poi a dire, ”ci sono tre cerchi,
più piccoli a mano a mano che si digrada,
come quelli che ti lasci alle spalle.
 Sono tutti colmi di spiriti maledetti;
ma perché ti sia sufficiente vederli,
 cerca di intendere in che modo
e in base a quale criterio sono ammassati.
Virgilio inizia a descrivere i peccati di malizia, quelli puniti entro le mura di Dite. Egli  afferma che essi hanno tutti come risultati l'"ingiuria" altrui. L’ingiuria o infrazione della legge è data dalla frode o dalla forza. Per Dante, però ,  la prima , cioè la frode, è più grave della seconda, vale a dire la violenza, e quindi punita più in basso.
La frode, ond'ogne coscïenza è morsa,
può l'omo usare in colui che 'n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa.
 E’ questo il peccato più grave della stessa violenza.
“Questo modo di retro par ch’incida
pur lo vinco d’amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s’annida 

ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura.”

L’uso fraudolento della ragione,   quindi della frode, è visto come abuso e colpa comune, ossia come peccato originale e distorsione Rousseauiana dell’innato principio di bontà. E’ l’origine dei peccati che porta ad altri  di grande gravità, quali rubare, essere violenti, portare alla fame gli uomini e alla privazione dei bisogni primari stessi dell’uomo. Pur restando confinato in un’etica(Nicomachea) aristotelica

Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che ’l ciel non vole, 

incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta?”

Dante individua nella nascente e nuovissima società borghese con estrema chiarezza proprio quel “vulnus”, il quale oggi più che mai ci caratterizza, mascherato da un’indulgenza tecnologica verso la “fatica”. Tale “vulnus burgensis” è cresciuto ed ha imperato nelle vicende storiche del mondo a partire dal 14 luglio 1789. Per contestualizzare il peccato della frode dantesca nell’età contemporanea ricordiamo subito che i sistemi bancari moderni a partire dalla fine del 19° secolo trasformarono i crediti cooperativi in banche commerciale a carattere speculativo. Questo portò a trattare investimenti in borsa, secondo il principio speculativo, che si reggeva ( e si regge tuttora) sulla frode, dichiarando valori inesistenti o mai raggiunti e che dovevano essere raggiunti per varie ragioni (l’unica ragione era la frode). Da lì a qualche lustro si originò quel martedì nero (detto anche “Big Crash”) 29 ottobre 1929 , che portò al crollo della borsa di N.Y. Infatti presso lo Stock Exchange, sede del mercato finanziario più importante degli Usa e del mondo si realizzò e scoprì la frode per tutti i titoli a valore economico nullo o quasi. Da lì a pochi anni Roosevelt  intervenne separando i circuiti speculativi (ad alta frode) dai crediti cooperativi, decisamente più legati al valore del lavoro reale e di mercato necessario. Fu però un presidente americano democratico nel 1997, Clinton, a togliere il veto di fondere i due circuiti finanziari e a far cadere il credito cooperativo nelle banche commerciali, anche a carattere speculativo. In soli pochi mesi si assistette prima al crollo delle “tigri asiatiche”, poi, nel marzo 2000, alla grande esplosione della bolla del Nasdaq, e, infine,  alla grande crisi dei mutui sub-prime del 2008, le cui conseguenze perdurano ancora. Oggi la frode impera come sempre. Infatti:

il valore nozionale dei derivati (titoli da vero gioco d’azzardo, permessi da tutti e comprati anche dalla pubblica amministrazione degli stati  n.d.a.) in circolazione a livello mondiale potrebbe sfiorare la strabiliante cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire 33 volte il Pil mondiale e quattro volte tanto quello che si pensava finora, amplificando in modo allarmante il rischio sistemico di prodotti per loro natura interconnessi. Rischio che ancora sfugge in gran parte ai tentativi di controllarlo. Basti pensare che la stessa regolamentazione di vigilanza bancaria è tuttora concentrata più sui rischi di credito tradizionali che sui rischi connessi all’innovazione finanziaria che - vedi il caso dei mutui subprime Usa - hanno dimostrato di essere in grado di seminare recessione sul scala globale.
Fino a ottobre la mappa del rischio-derivati era spiegata all’80% dall’attività delle prime 55 banche dei tre blocchi Europa-Usa-Giappone, come risulta dal data base di R&S-Mediobanca. Gli unici dati “ufficiali” sull’entità del fenomeno erano quelli raccolti dalla Banca dei regolamenti internazionali tra 70 grandi dealer (principalmente le banche centrali), che segnalavano a fine 2017 532mila miliardi di dollari di derivati Otc e 90mila miliardi trattati sui mercati regolamentati per un totale di 622mila miliardi di dollari, pari a poco meno di 550mila miliardi di euro. (Fonte Sole 24 ore)

Ora i titoli in  questione, come detto, non hanno quasi nulla di capitalizzato in beni o in denaro o economico, ma sono solo dei “pagherò” !
Ecco l’attualità di Dante, che non attacca il capitale in sé, frutto del lavoro e di una sana legge di mercato, ma l’usura, gli strozzini legalizzati e  la mendacità dei titoli economici (altri canti e altri riferimenti nella Divina Commedia). La sua grandezza è stata la lucidità con cui ha denunciato i limiti di quel sistema da noi ereditato, quasi 6 secoli prima di Proudhon, Fourier, Owen e Marx, in modo disincantato analitico e direi profetico. Il nostro Dante, nelle moderne categorie politico-economiche, non sarebbe né comunista, né liberista, ma solo un profondo amatore del bene comune e della lealtà, poiché senza questa per Dante ( e per me) risulteranno sempre marci entrambi i sistemi.

Ma ora ….


“seguimi oramai che ’l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace, 

e ’l balzo via là oltra si dismonta".

Prof. Daniele Catino

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